Emergenza Covid-19: l’emergenza sanitaria come esimente dello stato d’insolvenza delle imprese

A seguito dell’emergenza sanitaria dovuta al Covid-19, in materia di crisi d’impresa la disciplina in vigore prevede quanto segue:

  • il rinvio dell’entrata in vigore del codice della crisi e dell’insolvenza al 1° settembre 2021 (art. 5 DL 23/2020);
  • l’improcedibilità delle istanze di fallimento depositate tra il 9 marzo 2020 e il 30 giugno 2020 (art. 10 DL 23/2020).

Dal 1° luglio 2020 torna quindi ad applicarsi la legge fallimentare, ed in particolare la norma che dichiara il fallimento dell’imprenditore in stato d’insolvenza, ossia nell’impossibilità di soddisfare regolarmente le proprie obbligazioni (ai sensi dell’art. 5 L. Fall.).
Ciò comporta il rischio di fallimento di numerose aziende che al termine di questa crisi sanitaria si troveranno in stato di insolvenza.

Per scongiurare il rischio di fallimento generalizzato delle imprese, la soluzione più probabile appare quella indicata da una giurisprudenza piuttosto risalente, ossia fare leva sul concetto di “forza maggiore” da considerare come esimente dello stato d’insolvenza purché sussista il nesso di causalità (Cass. 21 novembre 1986 n. 6856), in questo caso, tra il covid-19, e il conseguente lockdown, e lo stato d’insolvenza.

Tuttavia, senza previsione legislativa in tal senso, non tutti i tribunali fallimentari potrebbero allinearsi e applicare tale esimente, creando così una disparità di trattamento tra le imprese colpite dall’emergenza.

Si rende quindi auspicabile l’emanazione di una precisa disposizione legislativa che escluda il fallimento se lo stato d’insolvenza è determinato da forza maggiore, lasciando alla discrezionalità del giudice la sola valutazione circa l’applicazione dell’esimente al caso concreto.